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Numero 2 | Aprile 2020

Tempo di lettura: meno di 4'

Tassi negativi, quale futuro aspetta il renter?

 

“Il pastore cerca sempre di convincere il gregge che gli interessi delle pecore ed il proprio sono gli stessi.”

–Stendhal

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La crisi del sistema finanziario partita nel 2008 ed estesasi ai bilanci statali ha manifestato l’incapacità dei governi di gestire una partita complessa: a problematiche economiche si aggiungevano tensioni geopolitiche e crisi demografiche.

Tale vuoto decisionale è stato riempito dalle banche centrali che hanno de facto assunto la gestione della crisi, rispondendo con l’unico strumento a disposizione - la moneta. Liquidità e tassi nulli o negativi diventano il “new normal” imposto!

Del resto molti Stati non erano in grado di finanziarsi sui mercati nemmeno a tassi più elevati, che per altro non avrebbero potuto sopportare. La sfiducia stava allargandosi a tutto il sistema, bisognava scegliere fra due mali ed alla fine le banche centrali sono tornate ad essere prestatori di ultima istanza per gli Stati.

Il micro effetto di questa politica è stato l’estinzione dei “renter” o meglio di una classe di investimento (obbligazioni) ex toto.

Non che le emissioni obbligazionarie si siano esaurite, ma la fissazione d’autorità dei tassi d’interesse ha inconsapevolmente portato i renter verso investimenti e strategie più rischiosi.

Dal 1999 ad oggi il mercato globale del debito è cresciuto di 90 Trilioni Usd, passando da 20T a 120T. Il valore complessivo del debito a livello globale (pubblico e privato) è arrivato a oltre 250T, cifra tre volte superiore a quella registrata venti anni fa (dati Citibank).

Mentre debito e duration lievitavano, e il tasso medio ponderato passava dal 5,10% al 1,25%, gli eventi portavano il mercato a sperimentare tassi negativi: un'aberrazione economica che tuttavia oggi coinvolge il 15% del mercato obbligazionario globale.

I tassi a zero o sottozero mettono in crisi i bilanci delle banche, delle assicurazioni e delle casse di previdenza ed infine quelli delle famiglie. Portati agli eccessi, provocano un "effetto povertà".

Possiamo evidenziare alcune conseguenze:

  • la politica dei tassi negativi favorisce i debitori a scapito del creditore che subisce un’erosione del suo capitale ed è portato a rischi eccessivi;
  • le istituzioni creditizie devono in qualche modo compensare la perdita di profittabilità rivalendosi sui clienti, aumentando gli aggi ed arrivando ad applicare tassi negativi sui depositi, come nel caso svizzero.

Fissare d'autorità il costo dei fattori produttivi capitale e lavoro non è proprio di un regime capitalista né democratico. Paradossalmente, con lo stesso sistema si potrebbe garantire a tutti un lavoro.

Sarà ingenuo, ma è vero che non sappiamo dove ci condurranno queste nuove politiche e questi paradigmi imposti. Possiamo solo intuire chi pagherà il conto, visto che il debitore cercherà in tutti i modi di svalutare il debito.

La via di uscita inevitabile e relativamente meno dolorosa è la svalutazione monetaria. Già da mesi si parla dell’opportunità e della necessità di un’inflazione crescente.

Nel pensiero di Karl Marx, l’espansione del capitalismo con conseguente aumento della competizione avrebbe alla lunga compresso i profitti. L’investimento in macchinari con un conseguente aumento della produttività avrebbe portato benefici sul breve termine, finendo però alla lunga per incidere sulla “composizione organica del capitale.

La competizione porterebbe dunque in prospettiva ad una riduzione della redditività fino allo zero, privando di senso l’idea stessa di attività economica. La trasformazione della società, l’innovazione, la nascita di nuovi bisogni hanno inficiato tale teoria.

Il capitalismo non è stato vittima del suo stesso successo: vediamo ora se questa teoria sia viceversa calzante per il mercato dei capitali.

Dove fallisce la teoria filosofica di Marx riusciranno i banchieri centrali?

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Ci siamo chiesti quali conseguenze potrebbe avere sul lungo termine questa situazione probabilmente unica nella storia. Di fronte a uno sconvolgimento di queste dimensioni è troppo presto per trarre delle conclusioni, anche se alcuni possibili scenari vanno delineandosi: speriamo che gli articoli che alleghiamo possano offrire alcuni spunti di riflessione.

Se, come abbiamo visto, sul lungo termine non esiste ancora una linea di pensiero chiara, le conseguenze pratiche di questa situazione sono purtroppo più concrete. Secondo il video che segue, la chiusura delle scuole priverebbe circa 22 milioni di studenti americani dell’unico pasto caldo della giornata. Non osiamo immaginare cosa questo possa significare in altri Paesi.

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