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Numero 12 | Ottobre 2022

Tempo di lettura: 7'

Europa quo vadis

 

"Con l'euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno di più."

– Romano Prodi -  Presidente del Consiglio – 1999

L’Europa è un incontro tra popoli che, partito su spinte commerciali, si è evoluto in complesse relazioni politiche e giuridiche.

area comune europea

Istituzione: il progetto europeo

La fine di un’Europa dominante in campo politico, economico e militare, avviatasi con la "Grande Guerra” e la rottura ideologica con la Russia e conclusasi con il dramma del secondo conflitto mondiale, ha portato nel dopoguerra all’idea di un’area comune europea.

I popoli, impattati dalla follia della guerra, ricercavano una collaborazione pacifica per favorire uno sviluppo armonioso ed un conseguente miglioramento del tenore di vita.

L’aggregazione poteva attuarsi tramite:

  1. Via comunitaria: unione “stretta”, i compiti degli Stati nazionali vengono trasferiti all’Unione;
  2. Via confederale: completa collaborazione fra Stati sovrani;
  3. Via federalista: un’autorità politica sovranazionale viene creata ex novo, per realizzare i compiti non perseguiti efficacemente dai singoli Stati.

Alla fine, il processo si è sviluppato con un mix delle tre visioni, la via comunitaria (predominante) è stata sostituita da quella federale, quando il raggiungimento di un obiettivo si è dimostrato non possibile diversamente (es: primato del diritto europeo - Corte Europea, gestione della democrazia europea - Parlamento, gestione della moneta - BCE).

Il passaggio verso l’Unione si è basato sul concetto istituzionale di “gradualismo”, progresso a piccoli passi, che oggi mostra evidenti criticità. Sarebbe necessario accelerare sul cambiamento, ma lo status quo pare immodificabile.

Il primo cambiamento necessario è la riforma del sistema decisionale, oggi basato sul concetto di unanimità, la cui attuazione spesso necessita di machiavelliche tecniche politiche, portate fino “agli estremi” (anche tra pares vi sono realtà “più eguali delle altre”).

Questa gradualità, oggi interpretata come incapacità, accompagnata da un calo d’idealismo ha portato ad una crescente disaffezione verso il progetto europeo. Si riscoprono gli egoismi nazionali. Quale illusione pensare di poter singolarmente influire sulle “problematiche globali” (demografia, democrazia/tecnocrazia, green deal) che ci attendono.

L’allontanamento dalla politica e una crescente disillusione verso le Istituzioni sono fenomeni comuni alle democrazie, ma gravi! A scusante la percezione (vera) di essere schiacciati da un’Europa burocratica, mastodontica, permeabile ad ogni tentativo di cambiamento. Una “macchina” lontana dalla gente e dal comune sentire, un apparato formale che svilisce ogni ideale.

Una governance volutamente cauta e non ben definita ha portato alla supremazia dei tecnocrati di Bruxelles. La loro mentalità elitaria declinata nella difficile comprensione del loro agire, li ha portati non solo ad una geografica lontananza ma ad una scarsa accettazione popolare. Di questo gli stessi non se ne curano, anzi traslano questa carenza di democrazia negli Stati membri.  

Emblematica, comica e un po’ “fake” la Norma sull’import di banane (1994) che, presa a pretesto dalla stampa meno europeista, li ha ridicolizzati. L’idea di creare una legge per "mettere fuori legge le banane curve", fornisce un’idea della macchinosità del processo decisionale e della lontananza dai problemi della gente. Il voler “regolamentare tutto” porta ad una perdita di credibilità, ma è il non curarsene l’aspetto più pericoloso. Questa autoreferenziante burocrazia è un pericolo vero, la loro “non curanza” è rischio per l’Unione stessa, soprattutto ora che si è compreso che quello che non si riesce ad ottenere per vie democratiche in patria, lo si può raggiungere con l’attività lobbistica a Bruxelles.

Questo modus operandi, in termini funzionali e pragmatici di causa-effetto, trascurando la normale prassi decisionale e legislativa delle democrazie occidentali, è un pericolo  per l’idea di casa europea. Tecnocrati che non rispondono a nessuno forniscono le soluzioni ad una politica “lenta”. Questi “impiegati” trasformano il cittadino in suddito.

Un’Europa burocratizzata, lontana dalla gente, non compresa nel suo agire, è un rischio vero. Chi spera in un’Europa libera e unita, sull’idea utopistica espressa nel Manifesto di Ventotene, è deluso. Un’Unione fondata su una rivoluzione democratica ispirata ai principi di pace, collaborazione e libertà, si allontana. Si propone un’Europa “schizofrenica” che predica alti principi e poi li sotterra sotto un mare di scartoffie.

Economia: l’Europa come realtà in costruzione

L’Unione ha giocato tutto sui vantaggi della Moneta Unica, a vent’anni il consuntivo è in chiaroscuro, almeno per i Paesi del sud Europa (detti, non simpaticamente, PIGS). 

In Italia si lavora uguale, si guadagna uguale, ma si spende di più. Pesante l’incremento del costo della vita, cresciuto in vent'anni del 33,4% (+3,8% medio annuo - Istat). Poco, se si ricordano gli anni ’70; molto, se si sposava il credo tedesco della stabilità massima. Si era giocato moltissimo sul principio di sussidiarietà tra Stati, che si è confermato un’illusione.

La crisi dei debiti sovrani ha visto i “Paesi virtuosi” del Nord fare un passo indietro. Giustissime e normalissime le motivazioni economiche (non volersi far carico del debito di altri), peccato che, con tale agire, anni di grandi discorsi sull’Unione si sono resi vani. La crisi alla fine è stata superata dal “Whatever it takes”, ma serpeggia il sospetto che questa scelta trovi giustificazioni meno nobili, il rischio contagio, tramite il sistema bancario domestico, dai Pigs al “virtuoso nord”.

La risposta di una vera realtà solidale ed unita sarebbe stata la condivisione del debito (Eurobond). L’Europa si sarebbe posta come realtà vera, per arginare le difficoltà (di ogni genere). La faticosa risposta parziale oltre a lasciare il fianco scoperto alla speculazione, ha fatto affiorare tensioni, critiche e stereotipi fra gli stati. L’Europa è solo sulla carta geografica.  

Sorge il dubbio che l’espansione geografica e la moneta unica siano stati solo una fuga in avanti per scansare gli interrogativi sulla governance interna.  Si sono accettati come membri, non solo paesi che violavano le disposizioni economiche per l’ingresso nell’unione monetaria (Grecia), ma anche realtà non in linea con i valori democratici di base (Ungheria).

L’Europa anche economicamente resta una realtà in costruzione dove gli accordi sono annunciati, ma difficilmente realizzati (price cap energia), e dove il dividendo europeo (tassi sul debito a zero) è stato generalmente mal speso.

Il mal uso del dividendo dell’Euro è un peccato grave. Il non essere stati capaci di sfruttare una situazione contingente e straordinaria di tassi di finanziamento minimi per modernizzazione e creare un comune mix ottimale di capitale e lavoro è una colpa che pesa sia sull’Unione che su molte realtà nazionali.  In generale resta sull’Europa economica un certo “malessere” dovuta all’alta aspettativa che si era creata. Era fiducia ben riposta? Quale Europa si sta costruendo? Un’Europa disunita, politicamente marginale ed ininfluente? Si! Se si continuerà ad incentrarsi sul solo contesto economico, inevitabilmente i singoli egoismi prevarranno.

L’allontanamento dalla politica e una crescente disillusione verso le Istituzioni sono fenomeni comuni alle democrazie, ma gravi! A scusante la percezione (vera) di essere schiacciati da un’Europa burocratica, mastodontica, permeabile ad ogni tentativo di cambiamento. Una “macchina” lontana dalla gente e dal comune sentire, un apparato formale che svilisce ogni ideale.

Limitare l’Europa al solo dare/avere ne svilirà il disegno politico: avremo un’area economica dagli interessi convergenti, e dai reali rischi di frammentazione. Il quadro demografico rafforza tale ipotesi: abbiamo un Continente “vecchio” (nel vero senso della parola) che non vuole “problemi” ma “godersi la pensione”.

Ultima carta spendibile è il programma Next Generation EU, scommessa sul futuro, ultimo tentativo per integrare in un processo virtuoso di sviluppo le diverse realtà nazionali, sempre che la burocrazia a livello comunitario e nazionale non voglia ancora una volta, mettendo paletti e vincoli, dire la sua.

L’Europa potrebbe porsi come modello di civiltà, in un mondo dove si assiste ad un indebolimento dei valori della democrazia e dei diritti fondamentali, ma lo vuole veramente?

Forse si, forse no. Nell’attesa, il progetto europeo resta “nel limbo” bloccato da personali individualismi. Per avviarlo, mancano figure carismatiche che sappiano giocare a “tutto campo” ed attuare un “disegno comune” coraggioso fino all’audacia. 

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